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La Piccola Corte rurale nel Ferrarese


La piccola corte rurale nel ferraresrLa casa rurale di cui si vuol parlare è quella rustica, di piccoli proprietari o affittuari, isolata sul fondo di lavorazione, dato che era, e ancora è in parecchi casi, quella tipica della zona dell'alto ferrarese.
Tralasciamo quindi la grande corte rurale, quella del grosso proprietario o affittuario, tanto simile a quella immortalata nell'Albero degli zoccoli, e parleremo della piccola corte ferrarese, specialmente della zona nostra.
Chi passa per l'alto ferrarese, resta colpito dalla successione vicino alla strada di case sparse, dato il grande frazionamento della proprietà agraria alla prevalenza della policultura, cioè della coltivazione di ogni prodotto, tale da rendere quasi autosufficiente la famiglia che lavorava la terra. Prima di tutto bisogna considerare l'origine della terra , di natura alluvionale, creata dalle sedimentazioni delle sabbie dei fiumi, per cui dove prima era acqua poi sorsero montagnole di sabbia, specialmente verso gli argini, nelle cui vicinanze sorsero poi i piccoli villaggi, le borgate, con bottega chiesetta, ecc. Le case sparse, sorte sempre su dossi naturali, facevano riferimento alle borgate, da cui si rifornivano dei prodotti mancanti e quindi al paese per le pratiche amministrative e burocratiche.
Tornando ora alle case sparse in origine erano di canne, detti "CASONI o TEZZE", poi furono costruite con malta seccata al sole, alla fine del secolo scorso, come dimostrano anche le inchieste agrarie della fine dell'ottocento.
La zona in cui sorgeva la casa era chiamata "Cò" cui seguiva poi il nome del padrone del fondo, come appare anche dalla vecchia cartografia militare di cent'anni fa e come si chiamano ancora , almeno in dialetto.
Il tipo di corte prevalente, quasi uguale in tutta la zona , era composta dall'esterno, come appariva dalla casa e dalla stalla, con tutta la serie (piccola naturalmente) dei rustici; la corte era circondata da un muro o almeno da una staccionata che racchiudeva l'aia, volta sempre a mezzogiorno, il "Brolo", con gli alberi da frutto, i ricoveri degli attrezzi, quasi sempre con il tetto che arrivava quasi a terra (barchesse), fatta di legno e malta e canne. Gli attrezzi erano quelli tipici di un'agricoltura fatta tutta a mano, con le forche, i rastrelli, il carretto, le zappe, al cariulòn, le falci, i sghétt, ecc.
La famiglia del proprietario o affittuario, che aveva in lavorazione un po' di terra di un grosso padrone agrario, era composta in genere da 10-12 persone, con il capo, al rasdòr, la moglie, la rasdora, i veri padroni della famiglia, che trattavano tutto, i figli, qualcuno sposato, i nipoti, e qualche volta anche la sorella o fratello del vecchio.
La dotazione di scorte morte era composta dalle pirle, dalla Losa o Casone, dal fienile su cui era stata posta la raccolta del fieno per l'inverno, le colombaie, il porcile, il pollaro, il forno, sotto cui era posta la sede delle oche (ucaril), nel luogo ove si riponevano anche gli steli del mais, anzi le radici, per cuocere il pane, dato che era un ottimo combustibile.
La casa di abitazione, come detto, era composta di due piani, qualche volta di uno solo; sotto in genere si entrava per la porta principale, spesso rotonda, nell'andito (andit), una grossa stanza con uscita posteriore, dato che attraversava tutta la casa; nell'andito si aprivano le porte delle stanze, dopo avere attraversato tutto l'ingombro dell'andito, in cui erano ammassate parecchie vettovaglie, ceste di frutta, damigiane, sacchi di mais, difese dagli assalti delle galline che ruzzolavano sull'aia da un cancelletto di legno a due ante (tipo porte da saloon da Far West). Le stanze del piano terreno comprendevano la cucina, il salotto (camarina), la cantina, la porta per la stalla, e la porta per salire sulla scala , in legno o in pietra per salire alle stanze superiori, in genere camere da letto e granaio, con la scorta di mais e di frumento per l'inverno.
Il salotto era la stanza più bella in cui si accoglievano gli ospiti, con una tavola al centro e le sedie di legno grezzo, fatte in casa, con un plafone, cioè col soffitto coperto, da cui pendeva un lucernaio a olio, con la catena scorrevole e con il contrappeso, per alzarlo o abbassarlo.
La cantina, con il pavimento in terra battuta, custodiva le poche botti del vino con tutti gli attrezzi che servivano alla vinificazione, con l'attrezzo per pestare con i piedi l'uva, il tino, ecc. C'era anche il ripostiglio (strigaroba sgombracà) in cui erano ammassati tutti quegli attrezzi che non servivano al momento, come la madia, la gramola, gli arnesi per il bucato primaverile, le bottiglie, il pane di scorta, ecc.
Però la parte più importante della casa restava senza dubbio la cucina (la cà) in cui troneggiava il camino, sempre posto a mezzogiorno, con la base posta a 30-35 cm. dalla pavimentazione; con il cassetto dei zolfarelli in un angolino riscaldato, la legna sotto, cui si accompagnavano anche la preda la lesca, l'asalin per accendere il fuoco qualche volta. Le fascine e altra legna erano poste di fianco al focolare, su cui erano posti i ferri (cavdon) e il paracenere, le molle, la paletta e l'attizzatoio, vicino alla graticola; dal camino, sempre nero, sporgevano la catena cui attaccare il paiolo per la polenta. Erano infissi anche chiodi per sostenere le varie padelle, al stagnadin. Sul cornicione della cappa del camino, che sporgeva per 20 cm., erano allineati il ferro da stiro, riscaldato con la brace, il mattarello (la canela), i mestoli, grandi e piccoli.
In un angolo, vicino alla finestra, erano infissi nel muro i sostegni per l'acquaio e per i secchi dell'acqua, col ramaiolo appeso, sotto l'acquaio stava il paiuolo grosso e il posto per le stoviglie. La sguladora si trovava sotto l'acquaio, con tutta la serie degli utensili di rame per la cucina, come lo stampo per il budino, mestoli e coperchi, e nell'angolo la muscarola per metterci dentro il burro, il salame, ecc. Il catino (basin) e la bacinella si trovavano sull'acquaio (porta basin) insieme all'asciugamano (pesa da man) e allo specchio per tutti.
Al centro c'era una lunga tavola, con sopra la lanterna a petrolio, in un angolo il cantonale (stracanton), ai lati le sedie, ai muri il tagliere, i coltelli, e sulla porta che portava in cantina stava appeso il lunario, con tutta la serie delle previsioni meterologiche per l'anno. Alle pareti inoltre immagini di santi, uno o due setacci, e il salvaroba, in cui si trovava la polenta rimasta e le tagliatelle pronte per l'uso.
Di sopra nella camera da letto troneggiava un letto, spesso su assi oppure del tipo molto alto, con sacconi di foglie di mais o paglia, con lenzuola di canapa grezza. Per coperte, sempre ricamate, c'era un saccone di piuma d'oca e due sedie. In una camera erano poi conservati le provviste di lardo, di salumi, l'aglio, l'uva, i sacchi per le scorte alimentari ecc.
Uscendo ora dalla casa e dirigendosi verso la stalla, vediamo subito l'albit, ove abbeveravano gli animali della stalla, chiuso all'esterno nel momento dell'abbeverata da pali infissi nei due lati del fienile, quindi la porta della stalla, in cui erano alloggiate 3 o 4 mucche magre e alcuni vitelli, legati per la cavezza ad un palo.
La stalla si presentava buia e umida, con le bestie verso i muri e le canalette di scolo al centro.
In fondo alla stalla si apriva la porta grande per l'uscita dei carriolon del letame e il letamaio subito dopo, con tutto il liquame che grondava e si disperdeva per terra, andando verso i fossati. Li dietro c'era il terreno coltivato, pochissimo, qualche volta uno o due ettari, coltivato a grano, mais, canapa, erba medica, fieno nei fossi, con le capezzagne al fondo; la terra era intervallata ogni trenta o quaranta metri da piantate di olmi e nogare, cui erano attaccate le viti, in doppio filare.
La vita si svolgeva quasi tutta in campagna, con rare puntate nel borgo per la messa alla domenica; tutto il resto del tempo si svolgeva in casa  e in campagna, anche d'inverno, quando c'era da scalvare gli alberi, potare le viti; solamente la sera ci si trovava tutti quelli della zona in qualche stalla, gli unici posti riscaldati dal fiato animale, lì si raccontavano vecchie storie, mentre le donne filavano. Qualche volta era presente anche un cantastorie allora la presenza era massima; i giovani poi intrecciavano i primi amoreggiamenti, che proseguivano poi alla messa festiva e nel portare  a casa la ragazza, fino ai morosi sul purtel, poi sulla porta, poi si chiedeva al padre e si diventava morosi ufficiali in casa, in cui si andava nelle sere buone nella cucina della casa della morosa, quindi si chiedeva la mano al padre (toca man) e poi ci si sposava, con il banchetto in casa.
Era questa la vita dei piccoli coltivatori, dura, difficile, sempre piena di paure per il cattivo raccolto, per l'affitto che bisognava pagare, per i contratti agrari molto gravosi. Era però molto socievole, una vita in cui si cercava di aiutare tutti, in cui ogni bene quasi si divideva, in cui si gioiva insieme, come una famiglia allargata a tutti gli abitanti della zona. Si era tutti poveri, ma la solidarietà umana era sentita, in cui tutti accorrevano alle belle notizie come alle brutte, in cui tutti facevano veglia (vegia) ai morti, tutti accorrevano ai matrimoni, senza problemi di vestiti o di apparenze.


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